La Danza di Gosia
Il saper vedere è una facoltà innata, il conoscere si acquisisce…
(Soetsu Yanagi)
Un segno preciso, semplice ed elegante, un tratto dalla linea continua, capace di marcare nel punto giusto e di sottrarsi con levità laddove la figura sfuma nell’orizzonte bianco del foglio. Con brevi colpi di pennello, tanto veloci quanto sapienti, Gosia Turzeniecka cattura la meraviglia estatica del mondo, il suo incessante dibattersi tra istanti successivi. Nei suoi disegni, ogni attimo, ogni movimento di quella sublime danza che è la vita, è indagato attraverso uno sguardo attento, abituato a scrutare tra le pieghe del presente con rapidità e precisione. La sua ricerca è il frutto di una disciplina maturata nel tempo, di una formidabile ginnastica dell’occhio, di una facoltà innata a cogliere le dinamiche degli eventi e a sintetizzarle in un apparato visivo quanto mai essenziale, composto di una partitura di linee scarne che tracciano sul fondo bianco figure che somigliano a ideogrammi. Come un sismografo, Gosia reagisce ai movimenti dei suoi soggetti, rigorosamente ritratti dal vivo, assecondando la maggiore o minore velocità dell’azione con un segno chiaro e inequivocabile, che imprime sulla carta la fragrante istantanea di un brandello di vita. I suoi soggetti, giovani dormienti o pigre bagnanti, nudi maschili e femminili o coppie congiunte nell’estasi dell’amore, galline o capre, mucche o piccioni, slittano dal piano dell’esistenza reale a quello fantasmatico del disegno quasi per magia, come trascrizioni stenografiche di un dettato intenso e vibratile. Questa immediatezza, questa rapidità d’intuizione della struttura dell’esistente non può che richiamare alla memoria l’esattezza del gesto calligrafico, la precisione della scrittura cinese e giapponese, che la disciplina zen ha severamente modellato.
Eppure Gosia, nata e cresciuta in Polonia e poi diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Torino, ammette di non conoscere affatto l’arte maturata sotto l’influsso del buddismo zen. Se, invece, gli si chiede a quali artisti occidentali si ispiri, risponde di non conoscere nessuno, dichiara umilmente di essere profondamente ignorante. La sola cosa che può dire a sua discolpa, è che fin da bambina, fin da quando ha iniziato a disegnare, tutto quello che ha sempre desiderato è catturare il mondo con un solo tratto, imprigionarlo in un unico fulmineo segno. Per Gosia disegnare è un esercizio vitale, un modo per conoscere ed imparare la realtà delle cose e, dunque, per crescere e migliorarsi. La sua ricerca risponde quindi ad una necessità esistenziale di concentrare nella pratica ogni suo impulso creativo.
“Io non penso, faccio! – dice l’artista – Nell’arte non guardo a nulla, non conosco nessuno. Mi limito a cogliere, col disegno, la danza della vita”.
In questo, Gosia somiglia, ancora una volta, agli artigiani della tradizione ceramica giapponese che trovarono nello shibusa la più alta formulazione della bellezza. Shibui è un aggettivo che non ha eguali nella lingua italiana. “Gli aggettivi più simili a shibui – scrive Soetsu Yanagi1 – sono austero, controllato e sobrio: il significato dell’aggettivo giapponese però è più complesso perché suggerisce l’idea di calma, profondità, semplicità e purezza. La bellezza che descrive è qualcosa di intimo, la bellezza di una luminosità interiore”.
Shibusa è anche la “caratteristica di gran parte della poesia e della danza giapponese, nonché della scuola di pittura detta Nanga, i cui dipinti si distinguono di solito per l’uso esclusivo del nero (che può essere definito un colore privo di colore o un colore che comprende tutti gli altri colori) e per l’estrema semplicità dello stile che deriva dall’eliminazione di ogni complessità”2. A ben vedere, le parole di Soetsu Yanagi si adattano perfettamente a descrivere lo stile di Gosia Turzeniecka, caratterizzato non solo da un impianto figurativo essenziale, ma anche da una grammatica segnica rarefatta, che riduce al minimo ogni intervento gestuale allo scopo di evitare il superfluo. Quella dell’artista polacca è, infatti, un’arte capace di ottenere, con il minimo sforzo, il massimo risultato, un’arte in cui bianco e nero sono in delicato equilibrio, e un segno di troppo riuscirebbe insopportabile. Di più, Gosia riesce, attraverso i suoi disegni, a trasformare in poesia gli aspetti più prosaici del quotidiano, a frapporre un delicato filtro tra il soggetto e la sua versione grafica, restituendoci non una banale descrizione morfologica del “reale”, ma il meraviglioso stupore di una scoperta.
Ivan Quaroni
Testo in catalogo della mostra alla 41 artecontemporanea, Torino. Maggio 2005