Gosiaturzeniecka@515
La mostra di Gosia Turzeniecka allo Studio 515 nasce da un incontro, da un rapporto fisico e
immaginifico dell’artista con il luogo, che ora è un'agenzia di comunicazione e design, dopo essere
stata molti anni fa una galleria d’arte, e prima ancora una fabbrica di flipper, nascosta nel cuore di
un cortile della città ottocentesca. Un rapporto con il luogo che è percezione dell’architettura, della
luce, dei volumi, gli arredi, gli oggetti. Degli alti soffitti e del giardino interno, racchiuso tra vetrate
industriali, dalla cui trasparenza entra anche un pezzo di cielo. Un rapporto che è incontro con le
persone che lo abitano e lo hanno abitato, con le pratiche creative a cui lo spazio, quasi un
destino, dà casa da lungo tempo, e con la presenza dei molti artisti passati.
Camminando per lo spazio, Gosia ha immaginato, ha visto i suoi lavori disporsi a parete, in un
allestimento irregolare e libero, cercando una sorta di conversazione con il luogo per evitarne una
colonizzazione espositiva che lo neutralizzasse, che gli negasse voce e identità.
La cifra di Gosia è sempre quella della leggerezza di una visione mobile, di una lieve poeticità
surrealista con cui coglie atmosfere, sentimenti e sensazioni da luoghi, persone, animali. Sono le
sfumature che capta e fissa con il suo fare rapido e incisivo, come se ne fermasse l’impronta, la
traccia vitale. L’essenziale. Ma non c’è minimalismo. Al contrario, c’è un’emozione, anche
spirituale, che richiama il resto, ne serba e comunica ciò che attorno al segno si rapprende per
energia.
È il suo diario personale del mondo. Ciò che incontra, conosce, osserva. Tutto è importante, ha la
sua presenza e posto nel mondo, sembra dire l’insieme del suo lavoro, una grande e vitale
produzione di pittura disegnata su carte diverse, nuove e trovate, mosse, liquide. Alcune sono
visioni meditate e meditative, altre hanno l’urgenza dell’appunto, dell’istante, si muovono ancora
davanti agli occhi.
Un disegno affine al calligrafismo orientale nell’intuire e coagulare in pochi tratti veloci il senso.
Un’evoluzione nel tempo che l’ha portata da una pittura iniziale più macchiata a una linea
strutturale che in pochi tratti spalanca dimensioni.
Su una parete si dispongono le donne di Gosia, una galleria di ritratti femminili potenti nella loro
naturalezza e intimità. Grandi formati. Corpi, volti e identità che vibrano di sentimenti che sono la
fierezza, la dolcezza, l’abbandono, la sensualità, la malinconia, la gioia, la rabbia. Sono loro a
osservare noi, non il contrario. Si muovono nel loro spazio, scivolano sulla superficie di carta, ne
escono, rientrano, mai inchiodate nei confini del loro ritratto. Ognuna una storia, che potrà
conoscere chi si saprà mettere in ascolto. Ma come sono sempre le storie che Gosia raccoglie,
variano e hanno una natura aperta al possibile, perché così è la condizione della vita, che è
mobile, mutevole, in divenire e relativa. E così è la natura della memoria. Questo l’artista lo sa, e
da lì, anche, le viene il suo sguardo accogliente verso la vita e le sue questioni. Verso il ricordo,
che è il presente nell’istante dopo essere accaduto.
La sua contaminazione sensoriale sfuma densità e perimetro del corpo dei soggetti verso un flusso
di pura energia, dove tutto si scioglie, oltre alla rappresentazione definita, mescolando in una
materia unica i frammenti dell’esistere, condividendo, nelle parti quasi astratte, ciò che lascia a noi
definire. Allo stesso modo, nel nero del suo tratto pittorico l’artista racchiude tutti gli altri colori,
quelli che, a sprazzi, ci appaiono esplodere qua e là sulla carta mentre osserviamo le sue opere.
Il coro di donne, che arrivano da tempi vicini e lontani rispetto al tempo presente dell’artista – tra
cui si confonde anche un meraviglioso tacchino che sembra l’astrazione di una dama della Belle
Époque nella sua vanitosa corona di piume della coda disposta a ruota -, si rispecchia e gioca con
un’altra opera corale dove mondo animale, umano e vegetale si frantumano in un impasto
eterogeneo. Un caleidoscopio compositivo che sceglie il registro del piccolo formato per creare
una polifonia visiva di voci, suoni, rifrazioni, echi, scoppiettii, flash. Una quadreria esplosa su
un’altra grande parete dello spazio che si trasforma in wunderkammer, come se le pagine del
diario di Gosia si aprissero sulla superficie in un volo plurale. Dal gruppo, alcuni piccioni
letteralmente prendono il volo, trasformandosi in sculture di cartapesta in scala naturale. Opere
recentissime. Il segno si fa materia in un’installazione che si dispone su elementi architettonici
dello spazio, un gruppo di uccelli che osserva dall’alto, con lo stesso sguardo ironico e di poesia
surreale dell’artista, che cerca il contatto e la complicità con il pubblico. L’idea di site specific si
radica poi ulteriormente nell’installazione che si sviluppa sulle vetrate del giardino d’interni, dove il
metallo dei rettangoli diventa un filo ideale su cui i piccioni dipinti si depositano. E lo spazio si
trasforma nell’atelier, al tempo stesso reale e immaginifico, dell’artista, dove ci invita a entrare e a
muoverci, a conoscere il suo mondo di mondi.
olga gambari