Allarmi 2

A cura di: Ivan Quaroni
Caserma de Cristoforis, Como
4 - 24 maggio 2006

Gosia Turzeniecka, nata a Opoczno (Polonia) nel 1974, utilizza il disegno come principale mezzo espressivo, elaborando uno stile estremamente sintetico, caratterizzato da segno preciso, semplice ed elegante. Con brevi colpi di pennello, tanto veloci quanto sapienti, Gosia Turzeniecka cattura la meraviglia estatica del mondo, il suo incessante dibattersi tra istanti successivi. Nei suoi disegni, ogni attimo, ogni movimento di quella sublime danza che è la vita, è indagato attraverso uno sguardo attento, abituato a scrutare tra le pieghe del presente con rapidità e precisione. La sua ricerca è il frutto di una disciplina maturata nel tempo, di una formidabile ginnastica dell’occhio, di una facoltà innata a cogliere le dinamiche degli eventi e a sintetizzarle in un apparato visivo quanto mai essenziale, composto di una partitura di linee scarne che tracciano sul fondo bianco figure che somigliano a ideogrammi. Come un sismografo, Gosia reagisce ai movimenti dei suoi soggetti, rigorosamente ritratti dal vivo, assecondando la maggiore o minore velocità dell’azione con un segno chiaro e inequivocabile, che imprime sulla carta la fragrante istantanea di un brandello di vita. I suoi soggetti, giovani dormienti o pigre bagnanti, nudi maschili e femminili o coppie congiunte nell’estasi dell’amore, galline o capre, mucche o piccioni, slittano dal piano dell’esistenza reale a quello fantasmatico del disegno quasi per magia, come trascrizioni stenografiche di un dettato intenso e vibratile.

Il tuo lavoro è caratterizzato da un disegno rapido, dal tratto sicuro e deciso, ma anche molto sintetico. Raccontami come hai sviluppato questo stile.

E’ come uno sport, dove c’è un continuo allenamento, dove sudi, ti scarichi, ma alla fine stai bene!
Alcuni critici (me compreso) hanno ravvisato delle somiglianze tra il tuo stile disegnativo e quello tipico dei maestri della calligrafia Zen. Cosa ne pensi di questo paragone tra la tua ricerca e lo stile orientale che tu, dichiaratamente, affermi di non conoscere?
Fin da bambina il mio desiderio è sempre stato quello di riuscire a cogliere con un solo gesto, con una semplice pennellata, il mondo. Penso che alla fine è una cosa innata: o ce l’hai o non ce l’hai. Anche se non conosco in profondità lo stile orientale, così, a pelle, mi affascina. Ci saranno delle affinità?

Come scegli i soggetti dei tuoi disegni? A che cosa ti ispiri?

Spesso sono i soggetti a scegliere me. Comunque si tratta di amici e parenti ritratti in diverse situazioni. Dormienti, bagnanti, danzatori, nudi maschili e femminili, mucche, galline, cani, gatti, piccioni, capre… Mi ispiro alla natura che per me è il miglior maestro.

Qual è il vero obiettivo della tua ricerca?

Dipingere è quello che conta ed è la più grande emozione!

Tu ritrai i tuoi soggetti rigorosamente dal vivo, quasi volessi catturare la vita nel suo divenire dinamico. Per i pittori di icone ortodossi, invece, la vera realtà non era quella fenomenologica, ma quella interiore. Hai mai pensato di disegnare qualcosa che non sia visibile, sotto i tuoi occhi, ma che sia il frutto di un’immagine mentale o di un’intuizione spirituale?

Guardando una figura dal vero per me diventa automaticamente scultura, disegno, forma, ritmo, paesaggio, colore… Lavorare dal vivo mi permette di lavorare sull’essenzialità. Anche per questo mi piace disegnare le figure in movimento, dove devi essere veloce e dove devi cogliere gli aspetti più importanti. Tutto è in continuo movimento, ha un inizio e una fine e tutto torna sempre al suo posto anche per quanto riguarda le soluzioni più astratte alle quali può arrivare la mia pittura. Questo è spirituale!

Che differenza c’è tra l’Arte e la vita?

Nessuna.

ITALIANO

Il saper vedere è una facoltà innata, il conoscere si acquisisce…

(Soetsu Yanagi)

Un segno preciso, semplice ed elegante, un tratto dalla linea continua, capace di marcare nel punto giusto e di sottrarsi con levità laddove la figura sfuma nell’orizzonte bianco del foglio. Con brevi colpi di pennello, tanto veloci quanto sapienti, Gosia Turzeniecka cattura la meraviglia estatica del mondo, il suo incessante dibattersi tra istanti successivi. Nei suoi disegni, ogni attimo, ogni movimento di quella sublime danza che è la vita, è indagato attraverso uno sguardo attento, abituato a scrutare tra le pieghe del presente con rapidità e precisione. La sua ricerca è il frutto di una disciplina maturata nel tempo, di una formidabile ginnastica dell’occhio, di una facoltà innata a cogliere le dinamiche degli eventi e a sintetizzarle in un apparato visivo quanto mai essenziale, composto di una partitura di linee scarne che tracciano sul fondo bianco figure che somigliano a ideogrammi. Come un sismografo, Gosia reagisce ai movimenti dei suoi soggetti, rigorosamente ritratti dal vivo, assecondando la maggiore o minore velocità dell’azione con un segno chiaro e inequivocabile, che imprime sulla carta la fragrante istantanea di un brandello di vita. I suoi soggetti, giovani dormienti o pigre bagnanti, nudi maschili e femminili o coppie congiunte nell’estasi dell’amore, galline o capre, mucche o piccioni, slittano dal piano dell’esistenza reale a quello fantasmatico del disegno quasi per magia, come trascrizioni stenografiche di un dettato intenso e vibratile. Questa immediatezza, questa rapidità d’intuizione della struttura dell’esistente non può che richiamare alla memoria l’esattezza del gesto calligrafico, la precisione della scrittura cinese e giapponese, che la disciplina zen ha severamente modellato.

Eppure Gosia, nata e cresciuta in Polonia e poi diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Torino, ammette di non conoscere affatto l’arte maturata sotto l’influsso del buddismo zen. Se, invece, gli si chiede a quali artisti occidentali si ispiri, risponde di non conoscere nessuno, dichiara umilmente di essere profondamente ignorante. La sola cosa che può dire a sua discolpa, è che fin da bambina, fin da quando ha iniziato a disegnare, tutto quello che ha sempre desiderato è catturare il mondo con un solo tratto, imprigionarlo in un unico fulmineo segno. Per Gosia disegnare è un esercizio vitale, un modo per conoscere ed imparare la realtà delle cose e, dunque, per crescere e migliorarsi. La sua ricerca risponde quindi ad una necessità esistenziale di concentrare nella pratica ogni suo impulso creativo.

“Io non penso, faccio! – dice l’artista – Nell’arte non guardo a nulla, non conosco nessuno. Mi limito a cogliere, col disegno, la danza della vita”.

In questo, Gosia somiglia, ancora una volta, agli artigiani della tradizione ceramica giapponese che trovarono nello shibusa la più alta formulazione della bellezza. Shibui è un aggettivo che non ha eguali nella lingua italiana. “Gli aggettivi più simili a shibui – scrive Soetsu Yanagi1 – sono austero, controllato e sobrio: il significato dell’aggettivo giapponese però è più complesso perché suggerisce l’idea di calma, profondità, semplicità e purezza. La bellezza che descrive è qualcosa di intimo, la bellezza di una luminosità interiore”.

Shibusa è anche la “caratteristica di gran parte della poesia e della danza giapponese, nonché della scuola di pittura detta Nanga, i cui dipinti si distinguono di solito per l’uso esclusivo del nero (che può essere definito un colore privo di colore o un colore che comprende tutti gli altri colori) e per l’estrema semplicità dello stile che deriva dall’eliminazione di ogni complessità”2. A ben vedere, le parole di Soetsu Yanagi si adattano perfettamente a descrivere lo stile di Gosia Turzeniecka, caratterizzato non solo da un impianto figurativo essenziale, ma anche da una grammatica segnica rarefatta, che riduce al minimo ogni intervento gestuale allo scopo di evitare il superfluo. Quella dell’artista polacca è, infatti, un’arte capace di ottenere, con il minimo sforzo, il massimo risultato, un’arte in cui bianco e nero sono in delicato equilibrio, e un segno di troppo riuscirebbe insopportabile. Di più, Gosia riesce, attraverso i suoi disegni, a trasformare in poesia gli aspetti più prosaici del quotidiano, a frapporre un delicato filtro tra il soggetto e la sua versione grafica, restituendoci non una banale descrizione morfologica del “reale”, ma il meraviglioso stupore di una scoperta.

Ivan Quaroni

Testo in catalogo della mostra alla 41 artecontemporanea, Torino. Maggio 2005

ENGLISH

o be able to see is an inborn faculty, to know has to be acquired….

(Soetsu Yanagi)

A precise mark, simple and elegant, the stroke of a continuous line, skilfully touching at the right point and lifting lightly where the figure fades into the white horizon of the page. With brief brushstrokes, as quick as they are discerning, Gosia Turzeniecka captures the ecstatic marvels of the world and its incessant dilemmas from one instant to the next. In her drawings every moment and every movement of that sublime dance, life itself, is investigated by her careful gaze, accustomed to scrutinising the folds of the present with rapidity and precision. Her research is the fruit of a discipline matured through time, of impressive eye-acrobatics and of an innate capacity to grasp the dynamics of events and synthesise them in a visual composition reduced to the essential, consisting of a score of simple lines which sketch onto a white background figures which look like ideogrammes. Gosia reacts like a seismograph to the movements of her subjects, portrayed from real life, complying with their greater or lesser speed of movement using clear, unequivocable signs, which impress onto the paper the fragrant moment of a scrap of life. Her subjects, young sleepers, lazy bathers, male and female nudes or couples in the ecstasy of love, hens or goats, cows or pigeons, slip from the plane of real existence to that of drawn fantasy as if by magic, like a stenographer’s transcription of an intense and vibrant dictation. This immediacy and rapid intuition of the structure of existence inevitably calls to mind the exactness of the art of calligraphy, the precision of Chinese and Japanese writing, which the discipline of Zen has severely modelled.

Yet Gosia, born and raised in Poland and then graduated at the Accademia di Belle Arti in Turin, admits to having no knowledge of the art developed under the influx of Zen Buddhism. If, on the other hand, you ask her which western artist has been her inspiration, she replies that she doesn’t know anyone, humbly declaring her complete ignorance. The only comment she can make in her own defence is that, ever since she was a child, since she took up drawing, all she wanted to do was to capture the world in a single stroke, imprison it in one lightning sign. For Gosia drawing is a vital exercise, a way of meeting and learning about the reality of things, therefore a way of growing and improving. Her research thus responds to an existential necessity to concentrate in practical expression her every creative impulse.

“I don’t think, I do!” says the artist. “In art I don’t look at anything, I don’t know anyone. I just try to catch the dance of life with my drawing.”

In this respect Gosia is once again like the craftsmen of the Japanese ceramics tradition, who found in the shibusa the highest formulation of beauty. Shibui is an adjectivewhich has no equivalent in English. “The adjectives which come closest to shibui” wrote Soetsu Yanagi1 “are austere, controlled and sober: the meaning of the Japanese adjective is more complex, however, because it suggests the idea of calm, pofundity, simplicity and purity. The beauty which it describes is something intimate, the beauty of an interior luminosity.”

Shibusa is also the “characteristic of the majority of Japanese poetry and dance, and of the painting school known as Nanga, whose paintings are usually distinguished for their exclusive use of black (which may be defined as a colour lacking colour or as a colour which includes all colours) and for the extreme simplicity of the style which derives from the elimination of every complexity.” 2 Looking closer, the words of Soetsu Yanagi lend themselves perfectly to describing the style of Gosia Turzeniecka, characterised not only by the essential quality of the figurative layout, but also by the rarified grammar of signs which reduces to a minimum every gesture in the aim of eliminating the superfluous. The work of this Polish artist is in fact capable of achieving the greatest result with the slightest effort, an art in which black and white are in delicate equilibrium and one line too many would be intolerable. Moreover, Gosia succeeds, through her drawings, in transforming the most prosaic aspects of daily life into poetry, inserting a delicate filter between her subjects and her graphic version, offering us not a banal morphological description of the “real”, but the marvellous astonishment of a discovery.

Ivan Quaroni

Catalogue text to 41 artecontemporanea exhibition

1 Soetsu Yanagi – AN ART WITHOUT A NAME, pp. 84-85, Servitium Editrice, 1997, Bergamo.

2 Ibid